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giovedì 25 marzo 2010

Happy Family. La commedia corale segna il ritorno di Salvatores



Dopo aver esplorato i territori drammatici di Io non ho paura e Come Dio comanda, e quelli noir di Quo vadis, baby?, Gabriele Salvatores torna alle origini con una commedia corale a fianco del suo attore feticcio Diego Abatantuono, nei panni di un padre di famiglia sui generis. Il film racconta l’incontro-scontro tra due nuclei familiari milanesi protagonisti della commedia che il giovane sceneggiatore Ezio (Fabio De Luigi) sta scrivendo, alle prese con un periodo di forte stress, tra crisi esistenziali e blocco dello scrittore. Finché gli stessi personaggi decidono di ribellarsi all’insoddisfacente finale…Nelle sale da venerdì 26 marzo.

Otto personaggi, più due cani, in cerca d’autore. Il riferimento alla commedia teatrale di Pirandello è inevitabile durante la visione del film di Salvatores, in cui uno sceneggiatore in crisi comincia a dialogare con i suoi personaggi, prima insoddisfatti dallo sviluppo dei loro caratteri e in seguito addirittura dal finale che Ezio ha scelto per le loro vicende, costringendo lo sceneggiatore a riscriverlo.

Happy Family è dunque un film che dialoga con lo spettatore, in cui i personaggi del film nel film rivolgono spesso, anche fin troppo, lo sguardo verso la macchina da presa per comunicare con lo scrittore, personaggio del film, e, implicitamente appunto, anche con lo spettatore che, invece, appartiene alla vita reale. Se l’espediente dello sguardo in macchina ricorda il Woody Allen delle commedie più riuscite, da Io e Annie fino all’ultima Basta che funzioni, nell’incipit del film di Salvatore questo risulta tanto insistito – tutti i personaggi si presentano allo spettatore adottandolo – da generare un fastidio che accompagna per buona parte della visione. Va meglio nella seconda parte del film, in cui la storia procede fino alla (finta) battuta d’arresto del (falso) finale e alla riunione di tutti i personaggi nell’appartamento di Ezio alla ricerca di una soluzione alle loro intricate vicende.

Al di là della forma più o meno riuscita del film che, comunque, rappresenta una piacevole novità e una ventata di freschezza per la commedia made in Italy, l’accento dell’analisi non può non soffermarsi sull’importanza dei contenuti che gli autori hanno voluto affidare alla penna (o meglio ai tasti del computer) del narratore. <<Tutti i personaggi di questo film hanno paura di qualcosa…in genere paura di vivere, paura degli altri, paura di soffrire, ma anche di provare piacere>> ha dichiarato Salvatores. <<Il film si chiama “Happy Family”. La “famiglia” siamo noi, tutti noi che stiamo facendo insieme questo viaggio in questi anni, su questo pianeta. La felicità è qualcosa a cui avremmo diritto e che, a volte, noi stessi ci neghiamo. Questo film cerca di guardare la vita con un sorriso, e gli altri – i nostri compagni di viaggio – con un po’ di disponibilità e tenerezza. Perché sarebbe bello che questa FAMILY diventasse un po’ più HAPPY>>. Evidenti, anche nelle affermazioni del regista durante la conferenza stampa, i riferimenti e la critica alla realtà sociale e politica italiana di oggi.

Prima di stregare Gabriele Salvatores a tal punto da spingerlo a realizzarne una versione cinematografica, l’omonimo romanzo scritto del co-sceneggiatore Alessandro Genovesi aveva già ispirato la messa in scena di uno spettacolo teatrale da anni in giro per l’Italia con enorme successo.

Regia: Gabriele Salvatores

Sceneggiatura: Alessandro Genovesi e Gabriele Salvatores

Cast: Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris, Valeria Bilello

Fotografia: Italo Petriccione

Scenografia: Rita Rabassini

Costumi: Patrizia Chericoni

Montaggio: Massimo Fiocchi

Origine: Italia 2010

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 90 min.

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domenica 21 marzo 2010

Zoè. Un film, un perchè!



Dopo gli ultimi due documentari, torniamo alla fiction recuperando un film italiano
invisibile del 2008.
Seconda Guerra Mondiale. I tedeschi arrivano nel villaggio rurale in cui abita la picola Zoè, portando con loro morte e distruzione. La madre della piccola, nel disperato tentativo di salvarle la vita, la convince a vagare nei boschi alla ricerca del padre partigiano per informarlo del pericolo imminente. Così Zoe comincia la sua corsa per la campagna, sulle colline, finché un soldato nemico la nota e inizia a seguirla. Si ode un colpo di fucile. Da quel momento il film procede in una dimensione sospesa tra sogno e realtà, popolata da personaggi bizzarri e sopra le righe, in vista del doppio finale confuso come tutto il resto.
A volte per definire un film non servono molte parole. Brutto è il termine che, in questo caso, può racchiudere esaustivamente il giudizio sulla pellicola di Giuseppe Varlotta. La messa in scena risulta fin dall’inizio piatta e sciatta, indegna persino della più becera ficition televisiva. La recitazione è decisamente sotto il livello di guardia. Il cast è composto da più o meno semi-sconosciuti, fatta eccezione per Serena Grandi e Bebo Storti, mentre risulta davvero incomprensibile la presenza tra gli interpreti del cantante Francesco Baccini. Ci si domanda come abbia fatto a finire in un simile pasticcio…
La dimensione onirica della storia viene palesemente dichiarata fin dal momento in cui Zoè chiude gli occhi e sente il colpo d’arma da fuoco esploso dal fucile del soldato tedesco. L’intento del regista, probabilmente, è quello di fornire al film quell’aura poetica che spesso accompagna i film con bambini protagonisti. Tuttavia, nel film di Varlotta, questo espediente contribuisce solo a rendere patetici e urticanti i vari inserti da film muto alla Charlie Chaplin, per intenderci, in cui il matto del villaggio, in giro per la campagna con una valigia di sughero, incanta tutti coloro che incontra per strada: bambini che pregano sulla tomba del fratellino neonato, anziani e giovani spose rimaste vedove nel giorno delle nozze. Davvero troppo, se si considera che il tutto non è accompagnato nemmeno da un briciolo di ironia o irriverenza nei confronti della guerra e della morte.

Regia e sceneggiatura: Giuseppe Varlotta
Cast: Francesco Baccini, Monica Mana, Serena Grandi, Bebo Storti, Camillo Grassi
Genere: drammatico
Origine: Italia 2008
Durata: 100 min.

sabato 20 marzo 2010

Il silenzio prima della musica



Parliamo nuovamente del genere documentario con quest'opera uscita nel settembre del 2009.

Presentato nella sezione “L’altro cinema – Extra” al Festival di Roma 2008, il documentario di Eric Daniel Metzgar racconta la sofferta riabilitazione di un uomo ridotto in stato vegetativo da un’emorragia cerebrale e da una serie di successive infezioni. L’uomo in questione è il trentaquattrenne Jason Crigler, uno dei chitarristi più apprezzati della scena musicale newyorchese, colpito dal male, causato da una malformazione congenita, durante un concerto nel 2004.

Per un crudele scherzo del destino, un artista, abituato ad esprimere la complessità del suo mondo interiore attraverso la poesia della musica, viene ridotto ad un nodo di tendini e muscoli contratti, inchiodato in un letto d’ospedale, reso incapace di comunicare col mondo esterno e con i proprio familiari. E proprio grazie alla tenacia, all’amore e alla pervicacia della sua famiglia, composta dalla moglie Monica, i genitori divorziati e la sorella, Crigler riesce ad uscire dallo scafandro che lo ha imprigionato e a recuperare in pieno le proprie capacità motorie, cognitive ed espressive. Nonostante la forza di volontà e la rieducazione ospedaliera abbiano giocato un ruolo molto importante nel processo di guarigione, è stata la famiglia ad essersi rivelata l’elemento cruciale del processo di riabilitazione di Crigler, così come apprendiamo dalle parole dei suoi medici, fin dall’inizio scettici sulle sue reali possibilità di ripresa e di tornare a condurre un’esistenza autosufficiente.

La vita precedente di Jason ci viene mostrata attraverso una successione di fotografie e immagini che raccontano una vita fino a quel momento vissuta pienamente. L’insorgere del malore e la corsa in ospedale vengono raccontati attraverso i diversi punti di vista dei suoi familiari, mentre a comunicare l’angoscia di una lenta agonia verso la paralisi sono le parole impresse sulle pagine del diario della sorella.

I video delle sedute di riabilitazione girate dai medici a scopo didattico mostrano le condizioni di Jason, introducendo lo spettatore nel suo calvario e in quello della sua famiglia, in un misto di gioia e dolore che caratterizza un percorso scandito da lieti eventi – la nascita della figlioletta, i progressi miracolosi - e da momenti di profonda sofferenza – le diagnosi dei dottori e le regressioni improvvise.

Nonostante le battute d’arresto, ben presto Jason comincia a manifestare forza, flessibilità e reattività motoria e inizia una lenta risalita della china che, nel giro di un paio d’anni, lo conduce ad un inesorabile ritorno alla vita e alla musica (emozionanti le immagini delle prime esercitazioni alla chitarra dopo tanto tempo di immobilità e distacco dalla realtà del mondo). Grazie al contributo di artisti della scena newyorchese come Norah Jones, Paul Bryan, Teddy Thompson e Marshall Crenshaw scopriamo quanto Jason sia amato dalla comunità musicale a cui appartiene e quanto il suo ritorno sia atteso.

Il recupero della memoria, della coscienza e della lucidità aprono la strada verso una nuova vita che per Jason sembra l’unica immaginabile dopo l’oblio attraversato che rende la sua vita precedente solo un ricordo appannato.

Per la tematica affrontata, il documentario di Metzgar richiama alla mente altre opere come Mare dentro e Lo scafandro e la farfalla. Sebbene anche queste fossero il racconto romanzato di dolorose esperienze fisiche e mentali realmente vissute, nel caso de Il silenzio prima della musica ci troviamo nel territorio del documentario e le emozioni scorrono quasi senza filtro direttamente dalla voce e dai volti dei protagonisti al cuore dello spettatore, caricando la visione di un pathos emotivo unico.

Il silenzio prima della musica racconta una storia vera che, nonostante la sofferenza di cui è portatrice, è in grado di riconciliare con la vita e con il mondo.


Titolo originale: Life. Support. Music

Regia: Eric Daniel Metzgar

Genere: documentario

Origine: USA 2009

Durata: 79 min.

mercoledì 17 marzo 2010

Mel Gibson è Fuori Controllo nel nuovo film di Martin Campbell



Basato sulla premiata e omonima miniserie britannica, Edge of Darkness (questo il titolo originale della pellicola) è un emozionante thriller che fonde politica e affari. Protagonista principale, Mel Gibson vi interpreta il ruolo di Thomas Craven, un veterano detective della omicidi al Dipartimento di polizia di Boston e padre single. In seguito all’omicidio della figlia Emma (Bojana Novakovic), avvenuto sotto i suoi occhi proprio davanti alla porta della sua abitazione, Craven comincia a cercare delle risposte, affrontando chiunque o qualsiasi cosa si metta sul suo cammino. Nelle sale da venerdì 19 marzo.
Fuori Controllo è il primo film da protagonista per Mel Gibson negli ultimi sette anni. L’attore, che durante questo lungo periodo si è dedicato con successo alla regia dei film La passione di Cristo e Apocalypto, ha dichiarato:
Era una sceneggiatura intrigante. È la ragione principale: se penso che una storia sarà affascinante e piacevole per il pubblico, allora salgo a bordo.
Il suo personaggio si trova coinvolto nelle indagini relative all’omicidio della figlia. Superato lo shock iniziale e il senso di colpa – la polizia ritiene che la giovane sia stata colpita da una pallottola destinata a lui – Craven comincia ad indagare sulla vita della figlia, addentrandosi in un mondo pericoloso fatto di spionaggio industriale, terrorismo, collusioni governative e omicidi. Nonostante l’elemento action sia fondamentale nell’economia del film – il regista è lo stesso Martin Campbell a cui si deve il rilancio della serie di film dedicati a James Bond – al centro della storia vi è il tenero seppur complesso rapporto tra una padre e una figlia. E se la morte di Emma rappresenta l’elemento catalizzatore dell’intera vicenda, la storia è incentrata sul viaggio del protagonista e sulla sua redenzione, che deve necessariamente passare attraverso la scoperta della verità. Pur avendo sempre rispettato le regole, il detective capisce presto che queste non gli consentiranno di ottenere giustizia e quindi decide di agire al di fuori della legalità per risolvere il crimine. Questo passaggio trasforma la pellicola in un vero e proprio revenge movie, una resa dei conti a tratti sanguinaria e iper-violenta in cui, tuttavia, la brutalità non appare mai fine a se stessa e la complessità di un personaggio tormentato e ricco di sfaccettature, quale quello interpretato da Gibson, non viene mai relegata sullo sfondo della vicenda ma anzi mantiene, per tutta la durata del film, un ruolo preminente.
Fuori controllo è prodotto dalla GK Films che ha deciso di adattare per il grande schermo una miniserie britannica di sei ore andata in onda nel 1985 sulla BBC. Oggi come allora, dietro la macchina da presa troviamo Martin Campbell. Ricorda il regista:
Qualcuno ha suggerito la possibilità di farlo diventare un film circa cinque anni fa. Ho pensato che fosse un’ottima idea. Ho sempre ritenuto che fosse una storia molto potente: un padre che perde la figlia e si impegna in un viaggio di scoperta non solo per trovare chi l’ha uccisa e perché, ma anche chi era lei veramente.
Nonostante l’aggiornamento degli aspetti politici della storia – la miniserie originale è ambientata in un’epoca in cui la Gran Bretagna era coinvolta nella Guerra Fredda e la minaccia nucleare da parte dell’Unione Sovietica era ancora molto sentita – lo sceneggiatore Andrew Bovell ha lavorato con cura per non intaccare l’aspetto fondamentale della pellicola. Anche l’impermeabile che Craven indossa dall’inizio del film, compreso il momento in cui la figlia viene uccisa, è un’immagine ereditata dalla miniserie e rappresenta un elemento talmente peculiare da arrivare a raffigurare un tratto caratteristico della psicologia del personaggio, contribuendo ad isolarlo in un contesto in cui la maggior parte dei protagonisti maschili indossa completi o uniformi della polizia.
Oltre a Mel Gibson, nel cast figurano anche Ray Winston (Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo), nel ruolo del ripulitore Darius Jedburgh, Danny Huston (X-Men le origini – Wolverine), in quelli del corrotto Jack Bennet, capo dell’istituto in cui Emma lavorava, e l’attrice di origine serbe Bojana Novakovic (Drag Me To Hell) che interpreta la figlia del protagonista.

Titolo originale: Edge of Darkness
Regista: Martin Campbell
Sceneggiatura: William Monahan e Andrew Bovell
Cast: Mel Gibson, Ray Winstone, Danny Huston, Bojana Novakovic, Shawn Roberts
Direttore della fotografia: Phil meheux
Scenografie: Tom Sanders
Montaggio: Stuart Baird
Costumi: Lindy Hemming
Musiche: Howard Shore
Origine: USA/Gran Bretagna 2010
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 116 min.

domenica 14 marzo 2010

Eva e Adamo



Eva e Adamo è un documentario uscito lo scorso settembre nelle sale cinematografiche.
Il film di Vittorio Moroni è concentrato su tre storie d’amore raccontate dal punto di vista di altrettante donne forti, volitive, caparbie e con un bagaglio di esperienze di vita e di emozioni. Erika è una settant’enne sposata con un giovane senegalese conosciuto in vacanza; Deborah ha un passato da pornostar e una nuova vita che condivide con un figlio e un compagno disoccupato; Veronica è un’infermiera sposata con un uomo invalido, costretto sulla sedia a rotelle dalla sclerosi multipla, dal quale ha avuto due figli.
L’altra metà del cielo si racconta in un documentario che, già dal titolo, esplicitamente pone le figure femminili al centro della scena, davanti ad una macchina da presa che esplora i loro corpi e i loro volti, rispettandone i silenzi, i pianti trattenuti e gli sguardi esitanti. Nonostante le tematiche affrontate - la differenza d’età, l’erotismo e la malattia – l’intento del regista non è quello di cavalcare l’onda del sensazionalismo.
Le figure maschili del ritratto, comunque presenti e senza dubbio importanti, sono relegate al ruolo di comprimari. Il regista non indaga la condizione degli extra-comunitari in Italia, il problema della disoccupazione giovanile o ancora le difficoltà a cui vanno incontro i disabili. Tutte queste problematiche, di cui i compagni delle protagoniste sono portatori, esistono e non possono essere nascoste, non è nelle volontà dell’autore, così come non lo è quella di esibirle. Il mondo esterno esiste e, soprattutto per i protagonisti, rappresenta spesso un ostacolo, una realtà con la quale confrontarsi e inevitabilmente scontrarsi. Ma questo rapporto è relegato sullo sfondo: si percepisce costantemente nei discorsi e nei toni ma non si vede. L’attenzione resta rivolta sempre all’interno delle coppie e delle loro dinamiche. L’intento chiaramente è quello di mostrare tre coppie decisamente particolari e fuori dagli schemi della banale normalità che sembra circondare le nostre esistenze, per mostrare come in realtà, al di là della stra-ordinarietà delle loro condizioni, le difficoltà che queste persone si trovano a dover affrontare non sono poi così diverse dalle nostre, vissute in quelle che solo apparentemente possono essere definite banali esistenze.
Il finale del film resta inevitabilmente aperto e sospeso sul futuro delle protagoniste – un trasferimento all’estero, il ritorno al lavoro di un tempo, la prospettiva di una morte certa - e quindi delle loro relazioni sentimentali.
Attraverso il documentario di Moroni, ci avviciniamo alla comprensione di esperienze che generalmente riteniamo lontane dalle nostre, o anche solo alla presa di coscienza dell’esistenza di tali esperienze fra le persone che ci circondano.
Da recuperare.

Regia: Vittorio Moroni
Genere: documentario
Durata : 77 min.
Origine: Italia 2009

giovedì 11 marzo 2010

Chloe. Tra seduzione e inganno, c’è solo noia




Catherine (Julianne Moore) è un medico di successo, di mezza età ma ancora affascinante, divorata dal sospetto che il marito David (Liam Neeson) la tradisca. Per liberarsi da questa ossessione, la donna decide di testare la fedeltà del coniuge ingaggiando una giovane ed attraente prostituta di nome Chloe (Amanda Seyfried), la quale ha poi il compito di rivelarle ogni dettaglio del tradimento. In seguito ad ogni incontro, la gelosia di Chaterine aumenta, ma allo stesso tempo si risvegliano in lei sensazioni da tempo sopite. Alla fine nessuno, compreso il figlio della coppia, resterà immune alle conseguenze emotive di questa morbosa situazione…

Il nuovo film del regista canadese Etom Egoyan torna alle atmosfere morbose che da sempre caratterizzano le sue pellicole, perpetrando false verità e bugie vere che scatenano desideri e impulsi in grado di esplodere con fragorosa potenza.
L’ambiguità sottile e tormentata dei personaggi protagonisti dà vita ad un racconto caratterizzato da apparenze che dovrebbero ingannare lo spettatore fino a condurlo al momento della sorprendente rivelazione finale.
La sceneggiatura, scritta da Erin Cressida Wilson, autrice del già audace Secretary con James Spader e Maggie Gyllenhaal, non si fa mancare momenti forti come le scene di nudo in occasione del rapporto lesbo tra Moore e Seyfried o ancora la seduzione messa in atto da quest’ultima nei confronti del figlio dell’amante, nel tentativo di vendicarsi per l’abbandono subito.
Tuttavia l’erotismo messo in scena da Egoyan risulta troppo patinato ed estetizzato per suscitare un qualsiasi brivido nello spettatore, mentre la noia, tra dialoghi che vorrebbero essere pruriginosi e ambiguità all’acqua di rose, regna sovrana. Come se non bastasse, l’attesa per la sorpresa finale che dovrebbe dipanare la vicenda si risolve in un bluff di cui lo spettatore più accorto non può non avere notato le prime avvisaglie nel momento in cui l’espediente del racconto del tradimento viene utilizzato per la seconda volta, e poi ancora una terza, dalla giovane prostituta.
Nonostante si avvalga di un cast di tutto rispetto, i veterani e pur sempre bravi Neeson e Moore, ma anche l’astro nascente Amanda Seyfried, già apprezzata nel più solare ruolo interpretato nel musical Mamma Mia!, il film non decolla mai, risolvendosi in un finale buttato via come se alla fine non si sapesse più cosa fare di una materia narrativa ondivaga tra thriller e dramma erotico.

Titolo originale: Chloe
Regia: Etom Egoyan
Sceneggiatura: Erin Cressida Wilson
Cast: Julianne Moore, Liam Neeson, Amanda Seyfried, Max Thieriot
Direttore della fotografia: Paul Sarossy
Scenografia: Phillip Barker
Montaggio: Susan Shipton
Musiche: Michael Danna
Costumi: Debra Hanson
Origine: USA/Canada/Francia 2009
Durata: 96 min.
Distribuzione: Eagle Pictures

venerdì 5 marzo 2010

Crazy Heart



Crazy Heart. Il folle cuore della musica country

Bad Blake (Jeff Bridges) è un cantante di musica country ormai sul viale del tramonto, alcolizzato e arrabbiato nei confronti di una vita che, dopo avergli fatto conoscere un periodo di grande successo, lo ha condannato a suonare vecchi successi in bar e sale da bowling di terza categoria. Mentre cerca di convincere il suo ex allievo Tommy Sweet (Colin Farrell) a incidere un cd insieme, Bad incontra la giornalista Jean Craddock (Maggie Gyllenhaal), madre single piena di rimpianti, e se ne innamora. Ma troppi matrimonio, troppi drink e troppi anni on the road hanno segnato la sua vita, e la strada verso la redenzione appare tutta in salita. Nelle sale da venerdì 5 marzo.

Crazy Heart è tratto dal romanzo omonimo di Thomas Cobb che ha ottenuto grandi consensi di pubblico e di critica, in particolare da parte della prestigiosa New York Times Book Review.
Protagonista del film è Bad Blake, quello che si potrebbe definire un antieroe romantico, costantemente sospeso tra comicità e tragedia. Le sue battute sarcastiche, un mix tra umorismo e dolore, sono ciò che esattamente ci si aspetterebbe da un uomo che, alla soglia dei sessant’anni, dimostra di aver vissuto una vita dissoluta tra amori, sesso, droga e sregolatezze di ogni genere. Compreso l’abbandono di un figlio in tenera età. "Quello che volevo veramente catturare era il misto di umorismo e pathos nella vita di Bad, mettendoci della leggerezza", spiega il regista Scott Cooper. "Bad è un cagnaccio, che non sa se ha delle nuove frecce al suo arco, un uomo che attraversa alti e bassi mentre la sua storia si muove, nonostante tutto questo, verso la redenzione". Un uomo la cui storia è racchiusa nel testo del suo maggior successo discografico, Fallin' & Flyin', in cui cadere e volare vengono descritte come sensazioni talvolta equiparabili. Il risultato finale compone il coraggioso ritratto di un uomo che deve venire a patti con i suoi limiti umani e con un'ultima possibilità di salvare la sua anima, imparando nel modo più duro come una vita difficile possa dipendere dal cuore folle di un uomo.
Nei panni del ruvido Bad ritroviamo un attore camaleontico come Jeff Bridges, interprete di personaggi indimenticabili come l’alieno buono e ingenuo caduto sulla terra in Starman di John Carpenter, il conduttore radiofonico Jack Lucas ne La leggenda del re pescatore e Jeff Lebowski, anche conosciuto come il Drugo, nella pellicola dei fratelli Coen Il grande Lebowski. Nel ruolo di Bad, Bridges può scomparire ancora una volta nella pelle di un altro uomo, mettendo in mostra il genio e i difetti dell’uomo, la sua solitudine, la follia e la speranza, nel corso di una relazione con Jean Craddock che, inaspettatamente, gli cambia la vita. Bridges sostiene di essere rimasto attirato profondamente dalla sceneggiatura. "C'erano tanti elementi meravigliosi in questo film", ricorda. "Per prima cosa, viene in mente la musica. Io suono da quando ero un ragazzo, quindi mi attirava molto. Inoltre, ho amato la sceneggiatura di Scott, con cui siamo andati d'accordo subito, anche perché è un talento notevole. Lui conosce a menadito la musica country e il suo entusiasmo è contagioso. Poi c'è Bad Blake, che è veramente un tipo umano. E' come tutti noi, con tante qualità positive e ancora più difetti". Completano il cast Maggie Gyllenhaal, Colin Farrell e Robert Duvall, qui in veste anche di produttore, impegnato ad affrontare il ruolo, breve ma significativo, di Wayne Kramer, l'amico di Bad che lo aiuta a cambiare la sua vita quando arriva il momento.
Un discorso a parte merita la colonna sonora del film, pieno di musica country. Crazy Heart contiene canzoni originali del compositore e produttore T Bone Burnett, autore di colonne sonore indimenticabili composte per film come Fratello, dove sei? e Walk The Line - Quando l'amore brucia l'anima. Buona parte delle canzoni del film interpretate da Jeff Bridges, che aveva già dato prova delle proprie abilità canore interpretando il pianista Jack Baker nella seducente storia sentimentale I favolosi Baker, sono state scritte da Burnett assieme al compianto cantautore texano Stephen Bruton, morto di cancro al termine della produzione e alla cui memoria il film è dedicato. Per completare la musica intima e profonda della pellicola, Burnett ha riempito la parte restante della colonna sonora con quella che definisce 'autentica musica country': "Ogni canzone scelta racconta una storia diversa", sostiene Burnett. Una grande ispirazione nello scrivere le canzoni, sia per Burnett che per Bruton, è stato l'impegno incessante di Jeff Bridges in ogni aspetto del ruolo. "Jeff ha influenzato la scrittura in due modi, per come si stava trasformando e per come sembrava questa persona. Inoltre, ha portato il suo grande amico John Goodwin per scrivere assieme a noi. Lui ha dato il via a Hold On You, il primo pezzo composto per la pellicola", spiega Burnett. Il tema portante del film è invece rappresentato dalla canzone The Weary Kind, la ballata acustica che Bad Blake sta scrivendo nel corso della seconda metà del film. "Quella canzone rappresenta la lezione che ha imparato", afferma Burnett. Scritta dallo stesso Burnett e da Ryan Bingham, cantautore americano che ne è anche interprete, The Weary Kind, oltre ad essersi già aggiudicata il Golden Globes come Miglior Canzone Originale, è candidata anche all’ Oscar e rappresenta la terza candidatura al prestigioso premio ricevuta dal film, dopo quella di Bridges nella sezione Miglior Attore Protagonista – per la quale l’attore ha già vinto il Golden Globes - e di Gyllenhall come Miglior Attrice Non Protagonista.
Girata tra gli stati del Colorado, New Mexico e Texas, la pellicola offre un'ottica originale del West americano, il quale, benché immerso nella modernità, rimane selvaggio in tanti aspetti, pieno di onestà ruvida e sogni arrugginiti. Perché come canta Bad Blake: <>.

Regia e sceneggiatura: Scott Cooper
Tratto dal romanzo di: Thomas Cobb
Cast: Jeff Bridges, Maggie Gyllenhaal, Robert Duvall, Colin Farrell, Ryan Bingham
Direttore della fotografia: Barry Markovitz, A.S.C.
Scenografie: Waldemar Kalinowski
Montaggio: John Axelrad
Musiche: Stephen Bruton & T Bone Burnett
Origine: USA 2009
Durata: 112 min.
Distribuzione: 20th Century Fox