Informazioni personali

La mia foto
Il modo migliore per imparare a conoscermi è leggere quello che scrivo!

giovedì 25 febbraio 2010

Nord. Viaggio on the road tra le distese innevate dell’Artico



Vincitore del premio per la migliore regia al Tribeca Film Festival 2009, Nord è il primo film di finzione del norvegese Rune Denstad Langlo, già regista e produttore dei documentari Too Much Norway e 99% Honest. Il film racconta il viaggio on the road di Jomar, un ex campione di sci rimasto solo in seguito ad una depressione fulminante, che attraversa le distese desolate e innevate della Norvegia in sella ad una motoslitta, per ricongiungersi alla moglie e al figlio che non vede da anni. Il viaggio, lungo circa 1000 kilometri e costellato di strani personaggi, diviene così un’occasione per riconciliarsi con il mondo. Nelle sale da venerdì 26 febbraio.

La storia raccontata dal film nasce da esperienze biografiche del regista, opportunamente rielaborate in chiave grottesca: <<Nel 2005 ho attraversato un periodo di forte depressione, con frequenti attacchi di ansia e di panico. Un giorno sono passato davanti al vecchio ski lift che usavo quando ero bambino. Mi sono fermato e ho cominciato a pensare a tutti quei personaggi bizzarri che, negli anni, avevano lavorato lì. Sempre arrabbiati, esauriti e pieni di alcool. È stato lì, mentre ricordavo, che Jomar – il protagonista – ha preso vita>>. E di personaggi stravaganti il film è pieno: l’adolescente Lotte che vive insieme alla nonna, il giovane abbandonato dai genitori e intollerante nei confronti dei gay, il vecchio eremita ottantenne che vive in una tenda sopra un lago gelato. Tutti questi personaggi, che in qualche modo rappresento le varie età dell’uomo, hanno in comune una condizione di isolamento, per lo più volontario, nei confronti del quale il regista, per tramite dello stesso Jomar, adotta uno sguardo divertito ma al contempo profondamente rispettoso delle motivazioni che lo hanno indotto. È tramite il documentario, al quale Rune si è dedicato per dieci anni, che il regista ha sviluppato una grande abilità di narratore, nonché un approccio caldo e decisamente originale e sarcastico a quei personaggi che ritroviamo nel suo primo film.

A parte Anders Baasmo Christiansen, interprete di Jomar e attore di grande esperienza molto amato dal pubblico norvegese, il cast del film è quasi totalmente composto da attori non professionisti, come nel caso di Lotte, interpretata dalla giovane Marte Aunemo - per la prima volta sul grande schermo - gli infermieri dell’ospedale psichiatrico presso il quale è in cura Jomar e ancora i militari impegnati nell’esercitazione che il protagonista incontra durante il suo peregrinare.

Il valore aggiunto del film è rappresentato senza ombra di dubbio dall’ambientazione artica di sensazionale bellezza: il film è stato girato nei mesi di febbraio e marzo, notoriamente i più rigidi dell’inverno norvegese. Le condizioni estreme di ripresa hanno rappresentato una vera e propria sfida per la troupe, che faticava anche solo a spostarsi di pochi metri per il cambio scena. A fare da contrappunto alle immagini dei paesaggi mozzafiato e alle tragicomiche peripezie del protagonista, una colonna sonora dominata dal genere country.

Distribuito dalla Sacher di Nanni Moretti, Nord ha partecipato al 59° Festival di Berlino nella sezione Panorama e, in concorso, al 27° Torino Film Festival, oltre ad essersi aggiudicato il Premio della Critica Internazionale FIPRESCI.

Regia: Rune Denstad Langlo

Sceneggiatura: Erlend Loe

Cast: Anders Baasmo Christiansen, Kyrre Hellum, Marte Aunemo, Lars Olsen, Even Vesterhus

Fotografia: Philip Ogaard

Montaggio: Zaklina Stojcevska

Musiche: Ola Kvernberg

Scenografie: Hege Palsrud

Costumi: Emina Mahmuljin

Origine: Norvegia 2008

Distribuzione: Sacher

Durata: 78 min.

Nomination Oscar 2010

Il Concerto. L’armonia suprema di Radu Mihaileanu


L’ex direttore d’orchestra russo Andreϊ Filipov si è ridotto a lavorare come uomo delle pulizie nel teatro, il Bolshoi, dove un tempo dirigeva l’orchestra più celebre dell’Unione Sovietica. La sua carriera venne interrotta all’apice del successo all’epoca di Brežnev, in seguito al rifiuto da parte di Filipov di separarsi dai suoi musicisti ebrei, tra cui il suo miglior amico Sasha. Ma una sera, trattenutosi fino a tardi per tirare a lustro l’ufficio del direttore, Filipov intercetta un fax d’ingaggio proveniente dalla Francia. E la voglia di riscatto, covata per anni, prende il sopravvento… Nelle sale dal 5 febbraio.
Il tema dell’impostura positiva, già presente in Train de vie e Vai e vivrai, torna prepotentemente nel cinema di Mihaileanu, il cui cognome di per sé rappresenta una mistificazione adottata dal padre per sopravvivere al regime nazista prima e stalinista poi. L’impostura porta con sé un altro aspetto fondamentale della poetica dell’autore, l’umorismo, usato in relazione alla sofferenza e alle difficoltà della vita. <> ha dichiarato il regista.
I personaggi protagonisti della vicenda raccontata ne Il concerto sono stati umiliati trent’anni prima dalla cieca ottusità di un regime spaventato da coloro che non erano disposti a sottomettersi alla sua autorità. Ed è proprio una-scena-tratta-dal-film-il-concerto-134727.jpgattraverso l’umorismo e l’ironia che, al di là della loro tragedia, i protagonisti trovano la forza di realizzare i propri sogni, tornando a conquistare la propria dignità di esseri umani. Espressione dell’energia vitale che pervade il mondo, l’umorismo che caratterizza la pellicola si alimenta anche dell’incontro-scontro tra culture diverse, quella slava e quella francese, la cui sorprendente contrapposizione suscita divertenti contrasti. E multiculturale è, di conseguenza, anche il cast, vero e proprio melting pot che comprende attori russi, francesi e rumeni.
concerto_7.jpgAttraverso la vicenda di Filipov e della sua orchestra, Storia e storia si incontrano e si compenetrano, in quello che si afferma come un atto d’accusa nei confronti di tutte le dittature conosciute dall’umanità, e non solo di quella comunista, con buona pace di alcuni giornalisti apertamente schierati a destra presenti alla conferenza stampa di presentazione del film.
Gli ultimi 12 minuti della pellicola sono dedicati alla realizzazione del sogno, l’esecuzione de Il concerto per violino e orchestra di Čajkovskij al Théătre du Chătelet di Parigi. Le riprese del concerto, durate sei mesi, sono caratterizzate da un virtuosismo impressionante e restano inevitabilmente impresse nella mente dello spettatore più di qualsiasi altra sequenza all’interno della pellicola. Il compositore Armand Amar ha dovuto ridurre la durata originale del brano, ben 22 minuti, cercando di non stravolgere la partitura del compositore russo, mentre il regista ha scelto di riprendere lo spettacolo utilizzando tre macchine da presa, tenendo conto anche dell’inserimento dei flashback sul mistero della paternità della violinista Anne-Marie Jacquet inseriti in fase di montaggio. Va da sé che all’interno di un film come Il concerto, la musica rappresenti un elemento fondamentale, un linguaggio universale inteso come energia capace di far nascere suggestioni in ognuno di noi, liberamente e in modo non precostituito. <> ha dichiarato Mihaileanu. All’interno del film trovano spazio, oltre alla musica classica, anche sonorità gitane, musica russa, liturgica e persino musica techno.
un-momento-del-film-il-concerto-134729.jpgLa metafora del concerto, che racchiude in sé un’armonia suprema in cui violino e orchestra risultano complementari l’uno all’altro, fornisce linfa vitale ad un film che parla dei rapporti fondamentali tra il singolo e la collettività, intesi come elementi assolutamente indissociabili del vivere sociale. Il concerto esprime proprio l’armonia che nasce dallo scontro tra culture incarnato dai protagonisti del film e rappresenta un nuovo inno alla vita e alla dignità umana troppo spesso calpestate.


Titolo originale: Le concert
Regia e sceneggiatura: Radu Mihaileanu
Cast: Alexei Guskov, Dmitry Nazarov, Mélanie Laurent, François Berleand, Miou Miou
Musiche: Armand Amar
Direttore della fotografia: Laurent Dailland
Montaggio: Ludovic Troch
Scenografie: Stan Reydellet
Costumi: Viorica Pietrovici
Origine: Francia/Italia/Romania/Belgio 2009
Distribuzione: Bim
Durata: 120 minuti

Lourdes. Il miracolo tra senso e arbitrarietà


Esce nell’anniversario della prima apparizione della Madonna a Bernadette (11 febbraio 1958, anche allora un giovedì) Lourdes, il terzo lungometraggio della regista austriaca Jessica Hausner. La protagonista del film è Christine, una giovane donna inchiodata alla sedia a rotelle dalla sclerosi multipla, che si reca in pellegrinaggio nella cittadina francese per uscire dall’isolamento a cui la sua condizione l’ha condannata. Una mattina, al risveglio, Christine si scopre apparentemente guarita da un miracolo. Mentre la sua guarigione suscita gelosia e ammirazione, Christine cerca di afferrare la nuova occasione di felicità che la vita sembra averle offerto.
lourdes.jpgAffascinata dall’idea di girare un film sul tema del miracolo, Jessica Hausner ha condotto delle ricerche che l’hanno portata a soffermarsi sulla realtà del leggendario luogo di pellegrinaggio situato nel cuore dei Pirenei, dove i miracoli avvengono regolarmente. <> ha affermato la regista.
Nonostante il tema trattato, il film si pone in una prospettiva più filosofica che religiosa. Nelle intenzioni dell’autrice, Lourdes non vuole essere un film cattolico. Quel luogo così misterioso e affascinante viene preso in prestito per raccontare una storia più generale, una storia in cui l’emozione che accompagna il sentimento religioso diventa preponderante rispetto alla fede e alla devozione a Dio. Non a caso l’unica persona ad ottenere un miracolo è proprio Christine, che tra i pellegrini è certamente la meno credente e la meno dedita alla preghiera. Il miracolo viene così mostrato come qualcosa di puramente casuale e arbitrario, non motivato da niente o da nessuno. Non si può parlare quindi di un omaggio alla forza della fede. Il miracolo raccontato nel film non racchiude necessariamente una morale o un senso. Lourdes è una sorta di favola per adulti, in cui malattia e miracolo sono indagati in senso metaforico, come qualcosa che ha a che fare con l’anima e le limitazioni della vita di cui la protagonista è simbolo. In questa prospettiva, il miracolo diviene un’occasione per liberarsi dalle catene e riuscire a realizzarsi afferrando la nuova occasione di felicità che la vita le ha offerto.
lourdes_3.jpgDal film traspare a chiare lettere il sentimento di diffidenza dell’autrice nei confronti della religione, per via di quella promessa di felicità del culto cattolico in un altrove e in un tempo imprecisato, considerato quasi come una caramellina. Sentimento di diffidenza rafforzato dall’esperienza vissuta a Lourdes, in seguito alla quale la Hausner è arrivata ad affermare, in conferenza stampa, che Dio non esista o che si sia addormentato. Tuttavia non è presente nessuna intenzione di ridicolizzare la religione e la fede cattolica in particolare, ma solo quella di affrontare le questioni esistenziali con estrema leggerezza e ironia.
Il film si chiude con una presa di coscienza sulla transitorietà della vita che la protagonista acquisisce nell’ultima scena.
Ispirata da film come Ordet di Dreyer (per il soggetto) e dall’opera di Jacques Tati (per l’umorismo che attraversa la sua pellicola), la Hausner ha scelto come protagonista Sylvie Testud che si è confrontata con un ruolo certo non facile e rifiutato da altre attrici, perché non sufficientemente sexy o per via del contenuto cattolico del film.
La lunga fase di preparazione ha portato la Testud a visitare diversi centri ospedalieri per conoscere i malati e cercare di comprendere meglio la malattia. Insieme alla regista, la protagonista è così penetrata emotivamente in una situazione fatale, quella dell’handicap, per scoprirvi una specie di normalità e un benessere inattesi perché in fondo la vita va avanti lo stesso.


Regia e sceneggiatura: Jessica Hausner
Cast: Sylvie Testud, Léa Seydoux, Bruno Todeschini, Elina Lowensohn
Direttore della fotografia: Martin Gschlacht
Montaggio: Karina Ressler
Scenografia: Katharina Woppermann
Costumi: Tanja Hausner
Distribuzione: Cinecittà Luce
Origine: Austria, Francia, Germania 2009
Durata: 95’

Amabili resti. La nuova terra di mezzo di Peter Jackson


La storia di una vita e quello che viene dopo. Questa frase racchiude il senso dell’ultimo film di Peter Jackson, Amabili resti, nelle sale da venerdì 12 febbraio. Tratto dall’omonimo romanzo di Alice Sebold, il film è solo apparentemente il racconto noir dell’inquietante sparizione di un’adolescente che vive nei sobborghi urbani. Al centro della storia troviamo infatti la giovane Susie Salmon, che, dopo aver lasciato la vita ad una età troppo giovane, continua a vegliare sui suoi cari da una dimensione quasi magica, offrendo uno sguardo particolarissimo al concetto di vita oltre la vita.
amabili_resti.jpg<>. Con queste semplici ma intense parole comincia l’avventura di Susie Salmon, quattordicenne assassinata mentre torna a casa da scuola nel dicembre del 1973. La sua morte rappresenta la fine della vita intesa in senso terreno e materiale, ma le spalanca le porte di un mondo in cui tutto ciò che desidera e che immagina si materializza di fronte e intorno a lei, un mondo così distante da quello in cui ha vissuto fino a quel momento e al quale non potrà fare più ritorno. Ma allo stesso tempo una dimensione dalla quale poter avere un punto di vista privilegiato su tutto ciò che accade ai suoi familiari rimasti in vita, un luogo dal quale assistere dolorosamente al disfacimento psicologico della sua famiglia, non senza la possibilità, tuttavia, di comunicare, seppur in modo impercettibile, con i suoi cari, nel tentativo di impedire che ciò che le è accaduto si verifichi nuovamente a qualcuno a lei molto vicino.
Dopo la trilogia de Il signore degli anelli, Peter Jackson torna a dimensiamabiliresti_02.jpgoni più contenute, sebbene non meno immaginifiche, traducendo in immagini cinematografiche le parole e le suggestioni visive di cui è infarcito il romanzo di Alice Sebold, uno dei libri più letti e commentati nel mondo negli ultimi dieci anni. <> ha dichiarato entusiasta il regista, che, insieme a Fran Walsh e Philippa Boyens, ha lavorato a lungo per realizzare il luogo in cui si svolge la maggior parte della storia, ovvero il limbo in cui Susi Salmon trova un rifugio spirituale ed emotivo prima che sia pronta a varcare la soglia che l’allontanerà definitivamente dalla vita terrena.
Il risultato è un luogo misterioso e intangibile che riflette la personalità di chi lo ha creato e lo abita, un luogo sublime ma circondato da un’oscurità spaventosa, da un’ineffabile tristezza, legato agli eventi che hanno luogo sulla Terra e alimentato dalle reazioni che questi suscitano in Susie.
Nel ruolo della protagonista ritroviamo la giovanissima e straordinaria Saorsie Ronan, già candidata all’Oscar per il ruolo di Briony in Espiazione, mentre Mark Wahlberg e Rachel Weisz interpretano i genitori che devono far fronte alla dolorosa perdita di una figlia e alle conseguenze che questa perdita porta con sé. E se il tono del film è spesso cupo e inquietante, nonostante i colori pastello che alimentano le fantasie della protagonista, a sdrammatizzare la situazione ci pensa il personaggio della nonna, interpretato da una sempre ottima Susan Sarandon con un ruolo che, seppur di contorno, quasi un cammeo, rimane impresso nella memoria. E al pari dell’interpretazione della Ronan, è da segnalare anche quella del brillante Stanley Tucci nei panni dello spaventoso e spregevole Mr. Harvey, il serial killer di bambine che si nasconde dietro l’apparente comune banalità del vicino di casa.

Titolo originale: The Lovely Bones
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura: Peter Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens
Cast: Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Susan Sarandon, Stanley Tucci, Saoirse Ronan
Direttore della fotografia: Andrew Lesnie, ACS, ASC
Scenografia: Naomi Shonan
Montaggio: Jabez Olssen
Costumi: Nancy Steiner
Origine: Usa, Gran Bretagna, Nuova Zelanda 2009
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 135 min.

La bocca del lupo. Storie di emarginati in una livida Genova


Un uomo torna a casa, dopo una lunga assenza. Scende al volo da un treno nella livida città portuale di Genova. L’attraversa cercando i luoghi conosciuti in un passato che sembra ormai remoto, luoghi in dismissione che affiorano alla memoria nel loro antico splendore. Nella piccola dimora nel ghetto della città vecchia, l’aspetta da anni una cena fredda e la compagna di una vita. Mary, transessuale, ed Enzo si sono aspettati e voluti sin dal tempo del loro incontro dietro le sbarre. Questo in sintesi il punto di partenza de La bocca del lupo, primo lungometraggio di fiction diretto dal giovane regista Pietro Marcello. Nelle sale da venerdì 19.
boccadellupo2.jpgGià autore di diversi documentari (Il cantiere, La baracca) tra cui Il passaggio della linea, che, presentato alla 64° edizione della Mostra del Cinema di Venezia all’interno della sezione Orizzonti, si è aggiudicato il Premio Pasinetti Doc e la Menzione speciale premio Doc/it, Pietro Marcello, trentatreenne regista casertano, dirige la storia di un amore oltre ogni confine e pregiudizio, una storia di emarginati in un luogo, la Genova storica di via Prè e Sottoripa, non ancora moderno dove il Novecento sembra essersi incagliato come una nave senza ancora.
Il film nasce grazie alla collaborazione tra Marcello e la Indigo Film di Nicola Giuliano e Francesca Cima, la seconda dopo la realizzazione de Il passaggio della linea, sviluppatasi a partire dagli spunti offerti dalla Fondazione San Marcellino di Genova e col prezioso contributo dell’Avventurosa Film, fucina creativa capace di proporre progetti e autori al cospetto di produzioni consolidate, per la quale La bocca del lupo rappresenta la prima esperienza produttiva autonoma, nonché il primo tentativo di interazione con una società di produzione consolidata, la Indigo Film appunto, che ha scommesso e investito su Pietro Marcello sin dal suo esordio. Proprio in virtù di questa scommessa, la Indigo Film si è impegnata a sostenere la realizzazione e la finalizzazione de La bocca del lupo, film che segna un ampliamento dell’orizzonte artistico del regista all’interno di un processo di crescita dello autore che è anche conferma di un percorso insieme creativo e produttivo.
Come già affermato in precedenza, il film nasce da un’idea della Fondazione San Marcellino, gesuiti di Genova, che da anni assiste in diversi modi la comunità di senza tetto, emarginati, raminghi e indigenti della città. L’intento era di raccontare non tanto l’attività della Fondazione quanto il mondo a cui questa si rivolge, le persone e la città.
Tra i compiti della Fondazionboccadelluporegista.jpge vi è quello di promuovere, sostenere e realizzare ricerche e pubblicazioni, servizi sperimentali e connessioni di rete con altre organizzazioni, ma anche raggiungere l’opinione pubblica con iniziative di sensibilizzazione e di stimolo alla riflessione sui temi che rileva come centrali nell’incontro quotidiano con la sofferenza.
Proprio per raggiungere tale obiettivo, la Fondazione si è posta il problema di utilizzare per la propria “Proposta culturale” diversi linguaggi che consentano la massima diffusione dei temi che si propone di affrontare. L’idea di usare lo strumento cinematografico per raccontare la storia di chi vive condizioni di grande disagio, accarezzata da tempo, è divenuta concreta solo grazie all’incontro con il giovane regista Pietro Marcello.
È così che, nella Primavera del 2008, il consiglio di amministrazione della Fondazione San Marcellino ha deciso di sostenere la realizzazione de La bocca del lupo. Il regista ha espresso con queste parole il lavoro svolto sulla realizzazione del film: <>.


Regia e fotografia: Pietro Marcello
Cast: Vincenzo Motta, Mary Monaco
Montaggio: Sara Fgaier
Musica: ERA
Distribuzione: BIM
Origine: Italia 2009
Durata: 76’

Il Mi$$ionario. Il peccato non è mai stato così redditizio


Mario è un uomo che in passato ha avuto problemi con la legge. Condannato per rapina, ha scontato sette anni in prigione. Finalmente libero, non avendo ancora regolato tutti i suoi conti con la malavita - i suoi complici lo cercano per avere indietro parte della refurtiva che Mario ha nascosto chissà dove - chiede aiuto al fratello prete Patrick affinché questi gli trovi un nascondiglio dove rimettersi in sesto per qualche tempo. Patrick lo invia dal suo amico Padre Etienne in un paesino dell’Ardèche. Ma una volta arrivato, Mario scopre che il parroco è morto e che i cittadini lo credono il suo sostituto…Divertente commedia degli equivoci, prodotta da Luc Besson, nelle sale da venerdì 19 febbraio.
Il Mi$$ionario è il secondo lungometraggio diretto dal regista francese Roger Delattre dopo L’Amour a l’arrache del 1997. Già assistente alla regia di film come Banlieue 13 e Arthur e il popolo dei Minimei, Delattre ammette di essere stato catturato durante la lettura della sceneggiatura innanzitutto dall’umorismo del film e dalla comicità delle battute. Ma nonostante il film abbracci il tono e le situazioni classiche della commedia, il regista ha rivelato grande attenzione anche per la composizione degli ambienti. <> ha affermato Delattre a proposito dell’ambientazmissionario_1.jpgione della storia.
Attore teatrale nonché interprete cinematografico, Jean-Marie Bigard recita nelle vesti del falso prete Mario, protagonista della pellicola ed autore, insieme a Philippe Giangreco, della sceneggiatura del film. A chi gli chiede se non ritenga un smissionario_2.jpgacrilegio interpretare un prete che cede alla lussuria, Bigard risponde così: <<È il principio comico del film: invertire i ruoli. Mario è appena uscito di prigione e resiste perfino all’arrivo della sua fidanzata, mentre suo fratello scopre un mondo che per lui era tutto sconosciuto. È proprio questa dicotomia che rende il film interessante: i due personaggi vengono totalmente sopraffatti dagli avvenimenti>>.
Nel film si ride parecchio, se si è disposti ad accettare questa inversione dei ruoli portata all’eccesso in più di un’occasione e un po’ di sana cattiveria votata all’umorismo, ma c’è spazio anche per la riflessione seria sulla religione e sul ruolo che questa può esercitare nel portare la pace tra confessioni diverse armonizzate dall’amore in tutte le sue forme.
Per la confidenza che il protagonista mostra di avere con Dio, Il Mi$$ionario è stato paragonato dallo stesso protagonista ai vecchi film della serie Don Camillo con l’indimenticabile Fernandel, di cui rappresenterebbe una versione moderna, riveduta e (s)corretta.


Titolo originale: Le missionaire
Regia: Roger Delattre
Sceneggiatura: Philippe Giangreco e Jean-Marie Bigard
Cast: Jean-Marie Bigard, Doudi Strajmayster, Aissatou Thiam, Jean Dell, Michel Chesneau
Direttore della fotografia: Thierry Arbogast
Scenografie: Hugues Tissandier
Montaggio: Julien Rey e Yves Beloniak
Costume: Olivier Beriot
Origine: Francia 2009
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 90 min.