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lunedì 31 maggio 2010

giovedì 20 maggio 2010

The Final Destination 3D. La morte in una nuova dimensione




In seguito ad una agghiacciante premonizione in cui vede la propria morte e quella dei suoi compagni, Nick abbandona l’autodromo in cui sta assistendo ad una corsa automobilista. Giusto in tempo per evitare l’inferno che si scatena all’interno in seguito ad un banale incidente sulla pista. Pensando di aver evitato la morte, il gruppo riprende ad assaporare la vita ancora più di prima ma sfortunatamente per Nick e la sua fidanzata Lori è solo l’inizio di un incubo. Infatti, mentre le premonizioni continuano a verificarsi e ad uno ad uno i sopravvissuti muoiono in modo cruento, Nick deve capire come sfuggire in modo definitivo al piano della Morte…Nelle sale da venerdì 21.

The Final Destination 3D è il terzo e (per il momento) ultimo sequel del celebre franchise di grande successo lanciato nel 2000. La formula della serie è sempre la stessa: il protagonista vede in una premonizione un incidente mortale, riesce a salvarsi insieme ad un gruppo variegato di persone ma, proprio quando crede di essere scampato al pericolo, la Morte torna a reclamare le anime dei sopravvissuti con ostinata premeditazione e violenza inaudita.
Escludendo il secondo capitolo della serie, il migliore fino ad ora prodotto, si potrebbe parlare di remake continui del capostipite, con i protagonisti impegnati ad evitare la Morte e a capire come sconfiggerla in modo definitivo. In un siffatto plot, va da sé che la Morte acquisti un ruolo da protagonista, il vero e proprio cattivo della storia. Ancora più pericoloso perché invisibile, impalpabile e (quasi) impossibile da sconfiggere.
La squadra creativa alla base di questo nuovo capitolo è, per fortuna, la stessa a cui si deve Final Destination 2: si tratta del regista David R.Ellis e dello sceneggiatore Eric Bress. La loro reunion riporta la serie sui giusti binari dopo lo scivolone del terzo capitolo (inutile ma curiosamente diretto dal regista del capostipite), anche se il duo non raggiunge i livelli toccati con il primo sequel, più serioe gory rispetto all’originale, ma allo stesso tempo divertente nonché splatter come solo un cartoon sa essere.

La sequenza iniziale del film, come da tradizione, è sicuramente quella più complessa ed imponente di tutta la pellicola. Dopo aver esplorato l’esplosione di un aereo, un incidente automobilistico in autostrada e il crollo di una montagna russa (oltre al deragliamento di un convoglio della metropolitana), The Final Destination 3D si apre nuovamente con un incidente automobilistico, questa volta reso più spettacolare dal fatto che si tratta di automobili da corsa all’interno di un autodromo, con un vasto pubblico giunto ad assistere alla manifestazione. E l’utilizzo della tecnologia stereoscopica proietta subito lo spettatore nel vivo delle catastrofi, assicurando un coinvolgimento totale e, fino ad ora, mai sperimentato nei film della serie. La vera innovazione di questo ennesimo capitolo è infatti rappresentata dall’utilizzo del 3D. La scelta di questa tecnologia permette di offrire ai fan della serie, e dell’horror in generale, un coinvolgimento quasi fisico e un’esperienza ancora più interattiva e completamente nuova, sia dal punto di vista della prospettiva che della profondità di campo.
Non tutte le morti sono ben congeniate, le esplosioni risultano un po’ troppo insistite e di alcuni personaggi, la cui caratterizzazione sembra non essere un elemento fondamentale, ci si libera in modo decisamente sbrigativo e superficiale. Tuttavia alcune sequenze del film, quella iniziale, sicuramente, ma anche quella nel multisala, che innesca una nuova premonizione con relativo evento catastrofico e che gioca con la referenzialità del meta-cinema, valgono decisamente la visione.

Diretto da: David R.Ellis

Scritto da: Eric Bress

Cast: Bobby Campo, Shantel VanSanten, Mykelti Williamson, Haley Webb, Nick Zano

Origine: USA 2009

Distribuzione: Warner Bros Pictures Italia

Durata: 82 minuti

giovedì 13 maggio 2010

Adam. Il coraggio di credere ancora nell’amore



Reduce del grande successo ottenuto al Sundance Film Festival, arriva sugli schermi italiani Adam, commedia romantica interpretata da Hugh Dancy (Il club di Jane Austen) e Rose Byrne (Troy). Adam, il protagonista del film, è un giovane ingegnere elettronico con la passione per l’astronomia affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo che determina una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi molto ristretti. Quando nel suo palazzo arriva Beth, scrittrice di libri per bambini che insegna in una scuola, Adam comincia ad instaurare con lei una strana relazione. Nelle sale da venerdì 12.

Scritto e diretto da Max Mayer, Adam ha vinto al Sundance il premio Alfred P. Sloan, come film a tematica scientifica. Nonostante si tratti di una commedia sentimentale, la storia è caratterizzata da venature drammatiche, legate alla difficile condizione di vita del protagonista, che complicano ulteriormente la relazione sentimentale tra lui e la giovane vicina Beth. Il punto di partenza della storia è infatti quello classico del genere: un ragazzo e una ragazza, con un passato difficile alle spalle e un futuro tutto da inventare, si incontrano portando in sé molte buone ragioni per non credere nella possibilità di un rapporto con l'altro.

L’amore, dunque, può essere rischioso di per sé ma per i due protagonisti oltre alle solite insidie insite nelle situazioni imbarazzanti e nei rischi della comunicazione che accompagnano l’inizio di una relazione, c’è dell’altro. Se per Adam le difficoltà nascono dalla sindrome da cui è affetto, che inibisce la possibilità di comprendere le reali intenzioni del prossimo al di là delle apparenze, condannandolo ad un destino di solitudine, per Rose si tratta di una delusione amorosa ancora troppo recente per permetterle di affrontare con serenità la nascita di un nuovo sentimento e tutto ciò che questo comporterebbe. Il canovaccio fin qui sembra abbastanza classico e la sensazione di deja vù è costantemente dietro l’angolo della scena successiva, tra chiacchierate sulle panchine di Central Park (alla Woody Allen, per intenderci) e rapporti familiari difficili e tormentati, sebbene all’apparenza idilliaci.

Ben presto però la pellicola sorprende lo spettatore scostandosi dal romanticismo più prevedibile e scontato, come solo i piccoli film sanno fare, per addentrarsi in una più complessa ricerca sul significato dell’atto di amare e su quello di lasciarsi amare, allontanandosi dal classico happy end che caratterizza il filone “disabili sullo schermo” senza per questo perdere quel tocco di leggerezza e spensieratezza che ci si aspetta da una commedia romantica.

Alla fine del film, lo spettatore può ancora credere nell’amore, può ancora sognare e magari scoprire, come Beth, di non ricoprire nella vita il ruolo del Piccolo Principe, contrariamente a quanto ha sempre creduto, ma di essere in realtà il pilota. Come insegna, ancora una volta, il romanzo di Saint-Exupéry.

Notevoli le interpretazioni dei due attori protagonisti, in particolare quella di Hugh Dancy alle prese con un ruolo difficile e delicato.



Regia e sceneggiatura: Max Mayer

Cast: Hugh Dancy, Rose Byrne, Peter Gallagher, Amy Irving, Frankie Faison

Origine: USA 2009

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 99 minuti


mercoledì 12 maggio 2010

Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio. Quando la diversità arricchisce



Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio. Quando la diversità arricchisce

In un vecchio palazzo umbertino nel cuore dell’Esquilino, storico quartiere romano, si snodano le vicende di un eterogeneo gruppo di inquilini, una piccola folla multietnica segnata da forti differenze. Benedetta, napoletana verace, è la portinaia del condominio; Marco (Daniele Liotti) e Lorenzo due fratelli agli antipodi; Giulia (Kasia Smutniak), fotografa sempre in cerca dell’ispirazione, è la fidanzata di Marco. Ci sono poi Iqbal, un bengalese con un banco di frutta; Nurit (Serra Yilmaz), fuoriuscita iraniana in cerca di asilo politico; Maria Cristina, domestica equadorena, con la figlia Penelope e Amedeo, il vicino che si prodiga affinché le differenze tra i condomini si trasformino in ricchezze. Nelle sale da venerdì 14 maggio.

Opera prima della regista Isotta Toso, già aiuto regista di Notturno Bus, Scontro di civiltà è una pellicola corale, tratta dall’omonimo romanzo di Amara Lakhous, che vede, al centro del racconto, l’ascensore per il quale quotidianamente si consumano singoli drammi esistenziali, tragici equivoci e ridicoli dispetti che svelano ed intrecciano frammenti di vite.
La Piazza Vittorio del titolo è la celebre piazza di Roma che rappresenta il cuore del quartiere Esquilino, residenza borghese della burocrazia di fine Ottocento. Con gli anni, la sua vicinanza alla stazione centrale ha letteralmente trasformato il quartiere in un variegato luogo d’approdo e stratificazione etnica e culturale. I personaggi del film ne costituiscono l’esempio lampante. In un siffatto melting pot, lo scontro non nasce soltanto tra etnie diverse ma tra differenti posizioni culturali, di classe, religiose, psicologiche e regionalistiche, come dimostrano i personaggi del professor Marini, milanese di nascita e di Benedetta.
Nell’ambiente chiuso del palazzo, le differenze tra gli inquilino emergono prepotentemente nel quotidiano. Le storie dei personaggi seguono i propri percorsi, finendo inevitabilmente per incrociarsi in ragione di una condivisione forzata dello spazio, del quartiere, del palazzo e del suo ascensore, appunto. La morte improvvisa di uno dei personaggi interviene a spezzare il già instabile equilibrio condominiale. Sarà proprio in questa drammatica situazione, in cui tutti posso essere potenziali assassini e in cui tutti si trovano ad incolparsi gli uni con gli altri, che il gruppo troverà la forza e il coraggio per superare ogni contrasto, almeno per un istante, e per svelare alle autorità il nome del vero assassino. <> ha dichiarato la regista. <>.
Dal punto di vista formale, il film alterna momenti di lirismo e pura poesia (la neve che ricopre la piazza) ad altri decisamente più banali e di routine, comunque sempre ammantanti dall’ammaliante colonna sonora, composta da Gabriele Coen e Mario Rivera e caratterizzata da un sound tribale e multietnico.


Regia: Isotta Toso
Sceneggiatura: Maura Vespini e Isotta Toso
Tratto dall’omonimo romanzo di Amara Lakhous
Cast: Kasia Smutniak, Daniele Liotti, Serra Yilmaz, Milena Vukotic, Roberto Citran, Francesco Pannofino, Isa Danieli, Ninetto Davoli Ahmed Hafiene, Marco Rossetti, Kesia Elwin
Direttore della fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Patrizio Marone
Musiche: Gabriele Cohen e Mario Rivera
Costumi: Eva Coen
Scenografia: Anna Forletta
Origine: Italia 2009
Distribuzione: Bolero Film
Durata: 96 minuti

venerdì 7 maggio 2010

Christine Cristina. Il debutto alla regia di Stefania Sandrelli



Italiana, vissuta in Francia nel momento del passaggio dalla morte del Medioevo all’alba dell’Umanesimo, Cristina da Pizzano (Amanda Sandrelli) è stata la prima donna a vivere soltanto grazie alla propria penna, cioè scrivendo e pubblicando opere poetiche. Da un’agiata condizione, Cristina precipita nella miseria più nera, con due figli piccoli. Costretta ad immergersi nella Parigi insidiosa dei derelitti schiacciati da guerre centenarie, Cristina dovrà risorgere dopo aver toccato il fondo e ci riuscirà proprio grazie alla scoperta di un dono che portava dentro di sé senza saperlo: il talento poetico. Christine Cristina segna il debutto alla regia cinematografica dell’attrice Stefania Sandrelli. Nelle sale da venerdì 7 maggio.

La storia di Cristina si dipana durante l’imperversare delle lotte tra la famiglia degli Armagnacchi e quella dei Borgognoni. Estranea a questo tipo di faida, l’unica preoccupazione di Cristina è quella di sopravvivere, vincendo la fame, la paura e la disperazione, al fine di garantire un futuro ai suoi figli. Due i mentori che Cristina incontrerà lungo la sua strada verso la risalita: l’anziano e scorbutico Charleton (Alessandro Haber), un cantastorie da osteria che l’aiuta a conoscere quel mondo degli umili che amerà la sua poesia, e Gerson (Alessio Boni), teologo sopraffino combattuto tra l’amore per Cristo e quello per Cristina. La ricerca della verità che emerge dall’osservazione della realtà, la compenetrazione nella condizione degli umili e un anelito di pace sono i temi ricorrenti e sorprendentemente moderni della vita di Cristina da Pizzano. Tutti temi che si ritrovano nelle sue composizioni poetiche. Quella di Cristina è, infatti, una poesia che parla dell’anima semplice delle cose, vicina ai deboli e alle donne, in contrapposizione con la cultura del tempo esclusivamente maschile, che promuoveva una letteratura artificiosa e nominalistica. Al suo debutto alla regia, Stefania Sandrelli racconta così il suo rapporto con il personaggio: <<La sua vita ricca di imprevisti dolorosi, romantici, allegri, la sua forza piena d femminilità e di grazia mi toccò il cuore e provai un senso di vicinanza con una donna così lontana. Cristina non è una donna che si risparmia, si consegna nelle mani di un destino che spesso le sembra ostile, ma che in fondo le ha dato l’occasione per far ammirare al mondo la bellezza e la potenza della sua femminilità. Si dice che fu una scrittrice medievale, credo che Cristina fosse molto meno e molto di più>>.

La storia raccontata dal film si dipana tra peripezie, battaglie intellettuali e dialettiche, palpiti sentimentali. Sono questi gli elementi e i momenti salienti della narrazione che, seppur edificata su basi drammatiche, ha tuttavia i toni della commedia. Il personaggio principale, Cristina, è visto anche con una partecipe ironia che accentua l’umanità della figura.

Il film è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per il Cinema e con il contributo della Regione Lazio tramite la F.I.L.A.S Spa e la Roma Lazio Filmcommission.


Regia: Stefania Sandrelli e Giovanni Soldati

Sceneggiatura: Giacomo Scarpelli, Stefania Sandrelli, Giovanna Carrassi e Roberta Poiani

Cast: Amanda Sandrelli, Alessio Boni, Alessandro Haber

Origine: Italia 2009

Durata: 92 minuti

Distribuzione: 01 Distribution


Draquila - L'Italia che trema. Affondo nella giugulare di un sistema perverso




6 aprile 2009. Ore 3.32. L’Aquila trema. Non senza preavviso. Non senza terrore. In pochi minuti, quella notte, l’interminabile scossa di terremoto ha distrutto una città, le macerie hanno coperto la storia e la vita di centinaia di persone. Mentre altrove, nei loro letti, persone prive di scrupoli ridevano. Il documentario di Sabina Guzzanti esplora i meandri oscuri di una tragedia annunciata, portando alla luce ciò che i media, debitamente censurati, hanno nascosto o comunque contribuito a rendere meno visibile, negando la cittadinanza alle istanze di dissenso all’interno di un coro umano piegato dalla catastrofe (in)naturale. Nei cinema da venerdì 7 maggio.

Dopo Le ragioni dell’aragosta, sorta di mockumentary all’italiana, Sabina Guzzanti torna al reportage già affrontato con Viva Zapatero!, il documentario nel quale l’attrice, regista e scrittrice denunciava la scarsa libertà di espressione presente nel nostro Paese. Questa volta nel mirino della Guzzanti finiscono gli eventi legati al terremoto dell’Aquila.

Al di là dei bagni di folla del Presidente-operaio, degli show televisivi ad uso e consumo della massa di telespettatori trasmessi con la connivenza dei principali mezzi di comunicazione, asserviti ad un potere totalizzante e pervasivo, Sabina Guzzanti scoperchia una realtà raccapricciante fatta di negazione dei più elementari diritti umani, di cavilli infilati in decreti legge di cui si parla di tutto in modo indecifrabile, fino ad arrivare alla scoperta di uno Stato nello Stato, quella Protezione Civile cresciuta all’ombra di Guido Bertolaso e della sua gestione alquanto dubbia della cosa pubblica. Perché proprio di questo si parla. Draquila affonda i denti nella giugulare di un sistema malato e perverso, reso tale dallo strapotere e dalla brama di denaro di speculatori senza scrupoli che, grazie agli appoggi politici di cui godono, giocano con le vite della gente. <<Quello che venivo a sapere sulla protezione Civile mi sembrava enorme, incredibile>> ha dichiarato Sabina Guzzanti. <<Da nove anni si sta sviluppando una sorta di Stato parallelo senza che l’opinione pubblica ne sapesse nulla. Incredibile che nessuno si fosse accorto che c’era una sorta di esercito in mano alla Presidenza del Consiglio, con licenza non di uccidere ma di spendere, di dare, di assumere senza concorso, di andare in deroga a tutte le leggi, di autorizzare costruzioni abusive, di elargire fondi extra al Vaticano. La cosa più difficile in questo lavoro è stato credere che davvero le cose avessero raggiunto questo stadio di anarchia, di arbitrio>>.

Al di là di ciò che potranno pensare i soliti detrattori, Draquila non è solo espressione dell’ anti-berlsuconismo che caratterizza il pensiero e le produzioni culturali di Sabina Guzzanti, ma un vero e proprio grido di dolore da parte di chi non si rassegna a sopravvivere, un racconto intenso e sconvolgente di come la svolta autoritaria incida sulle esistenze delle persone comuni. <<Vorrei che chi guarda il film riflettesse su cosa abbiamo scambiato in cambio di cosa. Anche se ci fosse un lieto fine ci vorrà tanto tempo per ricostruire l’Italia, almeno tanto quanto ce ne vorrà per ricostruire L’Aquila. Una città immaginata da Federico II per contrapporsi alla Roma corrotta. L’Aquila che è stata buttata giù da tanti terremoti e che è sempre stata ricostruita, sta volta se la deve vedere con qualcosa di molto più feroce>>.